giovedì 21 marzo 2013

Mothers day in the Arab world

Did you know that today (21st of March) is the first day of spring and in most Arab countries it's an occasion of celebration, it's the "Mother's Day" or "Eid Al Omm". 




Origins:
The idea began with brothers Mustafa and Ali Amin, the prominent journalists who founded the newspaper Akhbar Al-Yom. One day, Ali Amin received a letter from a mother complaining about her children, and then another mother showed up at Mustafa Amin's office to ask him to tell her story. Widowed at a young age, she had raised her children alone, and now that they were all married she rarely saw them.
The brothers decided to start a national campaign. Ali Amin had a daily column entitled Fikra (Idea) at the time, and he wrote that other countries had mother's days, so why didn't Egypt? Readers of the column responded enthusiastically, and a later poll showed that the preferred day was 21 March. The idea was first ridiculed by president Gamal Abdel Nasser but he eventually accepted it and Mother's Day was first celebrated on 21 March 1956. The practice has since been copied by other Arab countries.



mercoledì 20 marzo 2013

The secret world of child brides

A very disgusting and sad reality that still happens in the 21st century.

Every year, throughout the world, millions of young girls are forced into marriage. Child marriage is outlawed in many countries and international agreements forbid the practice yet this tradition still spans continents, language, religion and caste.




lunedì 11 marzo 2013

8 March - 8 Authors X 8 Visions


It is in fact the only female work from among these eight authors that provides the key to this new exhibition proposed by the Mignon group


Fatima builds throughout her photo selection a sequence where every woman seems to "deny the look/glance" almost as if they refuse to contribute to the schmaltzy vision or a predictable facade so often associated with the female subject, rather choosing to embrace the dramas that women have to face. It is then that all the other authors contribute with their vision that is simply "TRUE":

Berto Leonio:
               In Venice for entertainment but also to live in and at all ages.

Michelangelo Cao:
              Work colleagues in "forefront".

Ferdinando Fasolo:
              On the street, every day, being protagonists within an artistic background.

Giovanni Garbo:
              At work, in their stores.

Mauro Minotto:
             Encountered along the path.

Giorgio Pandolfo:
            Together.

Giampaolo Romagnosi:
            Partner, then wife and then mother.


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All the women in Fatima’s Abbadi photographs apparently seem to be denying “the look/
glance", they neither want to be portrayed or seen. Only in the last photo sequence do we get an opportunity to see a woman that is the protagonist of her scene. As is customarily the case with International Women’s Day (8th March) people enhance women’s beauty, but on this occasion Fatima Abbadi’s women try to "break down the cliché" by not being positively represented at all costs. Instead by hiding their faces with their hands, an umbrella, and newspapers or simply having a nap.

The daily tragedies, violence, lack of human rights and the continuous humiliation that women have to face and endure are the real protagonists in the images of Fatima Abbadi, forcing the spectator to reflect on each photo sequence.

Fatima Abbadi (1978) is an Italian- Jordanian Palestinian, born and raised in Abu Dhabi. She moved to Jordan for her high school education and then moved to Padua (Italy) in 1997. In 2007 Fatima Abbadi attended a course by Mignon photo group where she grew to realise which path in photography she wanted to follow. Her passion for music and portrait brought her to the discovery of Street Photography and the importance of photography’s history. Since 2009 she became a member of the MIGNON group and, in addition to the group’s exhibitions, Fatima Abbadi carried out various solo exhibitions, most importantly in Amman, Jordan, Rome and Padua.



Visit website event page: http://www.mignon.it/news11.html



venerdì 8 marzo 2013

8 Marzo ..


Vi propongo un brano di un articolo trovato sul sito “Il corpo delle donne” (i brani tratti sono in corsivo):

(…) Pier Paolo Pasolini aveva capito in anticipo che la televisione stava per distruggere la poetica potenzialmente espressa dal volto umano.
Pasolini aveva un senso acuto della realtà del volto umano, come luogo d’incontro di energie ineffabili che esplodono nell’espressione, cioè in qualche cosa di asimmetrico, di individuale, di impuro, di composito, insomma il contrario del tipico.





Umberto Galimberti: Quel corpo giovane che vogliamo eterno
Tratto da “la Repubblica”, 17 gennaio 2004

«Onora la faccia del vecchio» è scritto nel Levitico (19, 32) perché la faccia è il primo segno da cui prende le mosse l' etica di una società. E' infatti un dovere del cittadino rendere pubblica la propria faccia, e non nasconderla come oggi consentono gli interventi chirurgici o gli artifici della cosmesi. Non è da poco infatti il danno che si produce quando le facce che invecchiano hanno scarsa visibilità, quando esposte alla pubblica vista sono soltanto facce depilate, truccate e rese telegeniche per garantire un prodotto, sia esso mercantile o politico, perché anche la politica oggi vuole la sua telegenia. La faccia del vecchio è un bene per il gruppo, mentre la maschera dietro cui si nasconde un volto, trattato con la chirurgia o con la cosmesi, è una falsificazione che lascia trasparire l' insicurezza di chi non ha il coraggio di esporsi alla vista con la propria faccia. Nel suo disperato tentativo di opporsi all' intelligenza della natura, che vuole l' inesorabile declino degli individui, chi non accetta la vecchiaia è costretto a stare continuamente all' erta per cogliere di giorno in giorno il minimo segno di declino. Ipocondria, ossessività, ansia e depressione diventano le malefiche compagne di viaggio dei suoi giorni, mentre suoi feticci diventano la bilancia, la dieta, la palestra, la profumeria, lo specchio, il wc. Ma che cosa si nasconde dietro il culto del corpo e dell' eterna giovinezza che interpreta ogni segno di declino, se non come l' anticamera dell' esclusione sociale, certo come l' avvisaglia di un possibile e progressivo disinteresse da parte degli altri nei nostri confronti? Quel che si nasconde è l' idea malata che la nostra cultura si è fatta della vecchiaia, come di un tempo inutile che ha nella morte il suo fine, in attesa del quale, grazie alla chirurgia e alla cosmesi, sopravvive tutta quella schiera di mummie animate, di paradossi sospesi in quella zona crepuscolare in cui non si riesce a reperire altro senso se non l' attesa della morte. A dar corda e sostegno a questa idea malata sono quelle categorie: il "biologismo", l' "economicismo" e l' "estetismo" che regolano la cultura occidentale e rendono la vecchiaia più spaventosa di quello che è. Non vogliamo con questo negare che i vecchi non vanno incontro a processi degenerativi che ne compromettono, oltre alla funzionalità, anche l' estetica, né che la loro vita appaia inutile se misurata sul criterio dell' efficientismo che regola la cultura dell' Occidente, semplicemente vorremmo spostare questi tratti dal primo piano sullo sfondo e riordinare la scala delle priorità, perché, se è vero che la vecchiaia è un' afflizione, ci piacerebbe sapere se questa afflizione non è generata o almeno incrementata dall' idea che ci siamo fatti della vecchiaia. Finché consideriamo ogni ruga ogni capello che cade o incanutisce, ogni tremito, ogni macchiolina epatica sulla pelle esclusivamente come indizio di declino, affliggiamo la nostra mente tanto quanto la sta affliggendo la vecchiaia. Il riproporsi, ogni volta che vediamo la nostra faccia allo specchio, di questa diagnosi negativa su quanto ci sta accadendo dimostra la potenza dell' idea alla quale abbiamo legato e imbrigliato l' ultima parte della vita. E allora il lifting facciamolo non alla nostra faccia, ma alle nostre idee e scopriremo che tante idee che in noi sono maturate guardando ogni giorno in televisione lo spettacolo della bellezza, della giovinezza, della sessualità e della perfezione corporea, in realtà servono per nascondere a noi stessi e agli altri la qualità della nostra personalità, a cui magari per tutta la vita non abbiamo prestato la minima attenzione, perché sin da quando siamo nati ci hanno insegnato che apparire è più importante che essere. E allora, se è vero che rimanendo legati a idee biologistiche, economicistiche ed estetiche così diffuse in Occidente, queste ci influenzano negativamente agendo su di noi come patologie, non è il caso, arrivati a 50 o a 60 anni, di incominciare un altro tipo di terapia, quella che Hillman chiama: «La terapia delle idee». Alla mente le idee piacciono, e nella vecchiaia bisogna coltivare idee, ma non per ritardare il declino delle funzioni cerebrali come si è soliti dire, perché le idee non sono semplici vitamine o utili integratori. Le idee tengono desta la mente solo se la mente modifica le sue idee. Rigirandole e smontandole la mente le tiene vive e, invece di lasciarle logorare e irrigidire nei luoghi comuni e nelle convenzioni, le sostituisce e le cambia. Nella vecchiaia c' è tutto il tempo per questo lavoro, ma prima bisogna persuadersi che non nel produrre maschere, bensì nel produrre idee è la giustificazione del vivere. Ma tutto ciò non esercita alcun fascino nella nostra cultura, perché questa ci ha insegnato a visualizzare il nostro corpo come semplice interprete del desiderio dell' altro. E così lo ha allucinato con quei bisogni da soddisfare quali la bellezza, la giovinezza, la salute, la sessualità che sono poi i nuovi valori da vendere. Basta guardare la televisione per accorgerci che tutta la religione della spontaneità, della libertà, della creatività, della giovinezza, della bellezza, della sessualità gronda del peso del produttivismo, anche le funzioni vitali si presentano immediatamente come funzioni del sistema. La stessa nudità del corpo, che pretende di essere progressista ed emancipativa, lungi dal ritrovarne la naturalità, al di là degli abiti, dei tabù, della moda, passa accanto al corpo, ormai reso inespressivo perché utilizzato come equivalente universale dello spettacolo delle merci. E così, anche nello splendore della sua bellezza e della sua giovinezza, il nostro corpo non riesce più a nascondere i segni univoci che lo marchiano, che non sono le rughe o le macchioline epatiche da cui ci può difendere il lifting, ma i bisogni indotti dalla nostra cultura e i desideri da essa manipolati a cui il nostro corpo è stato piegato, e ridotto a puro e semplice supporto.

Link: https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=EBcLjf4tD4E

lunedì 4 marzo 2013

Miriam Makeba: South African singer and civil rights activist (The Queen Of African Music)


Today would have been the 81st birthday of Miriam Makeba, who dedicated her life to music and civil rights activism. 

Miriam Makeba (4 March 1932 – 9 November 2008), nicknamed Mama Africa, was a Grammy Award-winning South African singer and civil rights activist.
She actively campaigned against the South African system of apartheid. As a result, she discovered that her South African passport had been revoked in 1960 and the South African government revoked her citizenship and right of return in 1963. As the apartheid system crumbled she returned home for the first time in 1990.

Makeba used music to speak out about apartheid throughout her life. In 2005 she began a worldwide tour, aiming to play in all the countries she had visited during a life of activism.



Thank you Miriam Makeba.