giovedì 15 gennaio 2015

Mina, geometrie ed architettura

Chi è Piero Gherardi?

Detto da solo il suo nome potrebbe non dirvi granché, ma associato a quello di Federico Fellini o a Mina forse comincia a dire qualcosa in più.

Si tratta dello scenografo e costumista tanto caro al super regista italiano, vincitore di numerosi premi, nominations e riconoscimenti sia come scenografo sia come costumista: tra questi ben due premi Oscar per i costumi di “8e mezzo” e “la Dolce Vita”.    leggi articolo completo

  • Se Telefonando – Mina avvolta in un costume fatto da “cavi telefonici” domina dall’alto il cantiere della stazione di Napoli Centrale (progetto del 1954 di P.Nervi, C. Cameli, C. Cocchia, M. Battaglini, B. Zevi, G. De Luca, L. Piccinato, G. Vaccaro).


  • L’ultima Occasione – il più neorealista di tutti: la cantante viene ripresa in un paesaggio bucolico, protagonista gli archi dell’acquedotto romano, probabilmente zona Ponte di Nona.
  • Mai così – Mina si aggira statuaria tra i meravigliosi stralli della copertura degli hangar di Fiumicino, sottolinendo la grazia di tale struttura tanto che gli stralli in cemento armato precompresso sembrino corde di un’arpa.

  • Taratatà – Mina, in linea con la canzone, indossa un abito i cui drappeggi suggeriscono il “fumo blu” di cui canta.

  • Non Illuderti – Mina indossa questa volta una parrucca bionda riccioluta ma la location sembra essere lo stesso misterioso edificio del precedente.


  • Ebb tide – versione geisha sul molo di una spiaggia di Posillipo.


  • Mi sei scoppiato dentro al cuore – Mina è una medusa di piume in un esplosione di palloncini bianchi.


  • Una casa in cima al mondo – bellissima calla umana in cima….alla scalinata dell’Eur.

lunedì 5 gennaio 2015

De André, Fairuz e Rodrigo: tutti i legami di Caro Amore


Oggi forse divagherò un po’ dai miei soliti articoli e abbandonerò le tradizioni medio orientali. Vi porterò, invece, in un breve viaggio musicale, alla scoperta di un brano che ha realmente fatto il giro di due continenti e sicuramente pochi di voi ne sono a conoscenza.
La canzone in discussione è la famosissima “Caro Amore” di Fabrizio de André: una melodia che lego fortemente ai miei ricordi di infanzia.


Era nei momenti di malinconia dovuti alla distanza dalla sua terra, l’amata Italia, che mia madre intonava canzoni legate ai suoi ricordi e alle sue tradizioni, e ,in un epoca dove la comunicazione era costosissima ed internet era distante anni luce, gli unici strumenti che aveva a disposizione erano, oltre ai suoi ricordi ed alla sua cultura, quei pochi oggetti che aveva portato con sé.
“Caro Amore” era una delle più ‘gettonate’. Un evento buffo accadde il giorno in cui, mentre mia madre ce la cantava. La radio locale in medio oriente trasmetteva la stessa identica melodia, proponendo una canzone della famosissima Fairuz che si intitolava “Li Beirut”.


Il sentire la stessa canzone in due lingue diverse mi ha lasciato contemporaneamente incuriosita ed affascinata. Come era possibile che la stessa identica canzone fosse cantata in due lingue diverse in due posti così distanti? Che un cantante arabo potesse cantare una canzone di un cantante europeo? Entrambe le canzoni poi portavano lo stesso messaggio malinconico, anche se uno la dedicava al proprio amore, l’altra alla sua amata città, Beirut. Così mi sono cimentata in una ricerca, per svelare finalmente chi ha influenzato l’altro: son rimasta ancor più sorpresa quando ho scoperto che entrambi i cantanti sono stato influenzati dal movimento “Adagio del Concierto de Aranjuez” di Joaquín Rodrigo.


Joaquín Rodrigo nato a Sagunto, Valencia nel 22 novembre 1901, è stato un compositore e pianista spagnolo di grande spessore. La sua musica è considerata tra la più popolare del XX secolo. In particolare, il Concierto de Aranjuez è considerato uno dei pinnacoli della musica spagnola e del concerto repertorio chitarristico.

Niente da fare: la musica con le sue poche note riesce davvero a creare dei legami tra terre lontane, dove la parola fa fatica ad arrivare. Ecco che ritmo e melodia si trasformano in ponti interculturali tra popolazioni, unendoli in pace, sotto lo stesso cielo.